La cartografia è morta?

Daniel Huffman è cartografo freelance e implacabile critico di mappe. Riproponiamo in esclusiva italiana come guest post, per sua gentile concessione, l’articolo che ha pubblicato nel mese di maggio su visual.ly blog, sito leader di infografica e design della comunicazione visiva. Nella migrazione dalla carta al digitale anche la cartografia sta pagando un caro prezzo. A noi di eBookReaderItalia.com il post di Daniel è parso illuminare altre professioni dell’editoria – redattori, editor, stampatori, grafici – che si sentono travolgere dal cambiamento digitale, ma devono ridefinirsi facendo base al loro sapere concettuale, al valore aggiunto che il loro lavoro dà, a ciò che la “macchina” non può fare.

 

La cartografia è morta?

di Daniel Huffman

La gente a volte mi chiede se la cartografia è morta. Gli studenti si domandano se dovrebbero scegliere qualcos’altro su cui incentrare una carriera. I professionisti si chiedono se il loro business si prosciugherà presto. Nessuno sa veramente cosa avverrà, o se «cartografo» sarà presto elencato vicino a «bottaio» e «carraio» nella lista dei mestieri di ieri.

In un settore destabilizzato da grandi mutamenti tecnologici, l’incertezza sul futuro è diffusa. Venti anni fa una mappa era un pezzo di carta, ora è un mucchio di pixel sul tuo smartphone. I disegnatori grafici hanno lasciato il posto agli ingegneri di software. Nessuno sa esattamente cosa facciano ormai, o se abbiano l’attitudine giusta e organizzata per affrontare il prossimo grande cambiamento. O persino se sarà economicamente fattibile per il lavoro umano esser coinvolto più di tanto nella realizzazione di mappe.

La cartografia non è morta, ma la sua sopravvivenza richiede una ridefinizione attenta. Al momento molti di noi non sono del tutto certi di cosa implichi ormai la cartografia, e parecchie persone che sono pagate per fare mappe non sono sicure se debbano definirsi cartografi. Penso che ci sia una mancanza di orientamento, e ci stiamo domandando cosa succederà prossimamente al nostro settore.

Ma piuttosto che aspettare ciò che ci accadrà nel futuro, credo che i cartografi abbiano bisogno di affermare chiaramente il loro ruolo in quel futuro. Invece di essere definiti da forze esterne, noi abbiamo bisogno di dire alla gente che «questo è ciò che fanno i cartografi, ecco qui la parte utile che possiamo avere nel nuovo assetto». Secondo me il ruolo che esprimiamo deve incentrarsi sull’estetica e il design.

La cartografia ha avuto per lungo tempo una componente molto tecnica al suo interno. Gestione di dati, proiezioni, analisi, tecniche di stampa, eccetera. Questi restano elementi del lavoro, ma il loro ruolo è ridimensionato da quando i nostri strumenti di lavoro sono migliorati e diventati più automatizzati.

La cartografia sul web ha aperto una nuova serie di sfide tecniche, ma anche così, mettere insieme una mappa online richiede minori esperienze di programmazione di quante non ne richiedesse appena un paio di anni fa. Il livello di accesso continuerà a decrescere rapidamente.

Andando avanti, una parte sempre maggiore del lavoro tecnico ci sarà sottratta, svolta da algoritmi automatizzati che ci sollevano dal peso dell’elaborazione dati, calcoli e programmazione. Quella parte del lavoro non tornerà più.

Ciò che è rimasto, quindi, è il concentrarsi sull’aspetto relativo alla visualizzazione delle cose. Qui è dove non c’è al momento un sostituto del cervello umano, né probabilmente ci sarà per un po’ di tempo.

Un designer competente sa come raccontare abilmente una storia di spazi, e come un font o una scelta cromatica influenzino le percezioni e gli stati d’animo di un lettore. L’accresciuta informatizzazione e gli strumenti di lavoro migliorati non diminuiscono la necessità di creatività ed intuito. Al contrario, ci rendono liberi di spendere più tempo concentrando l’attenzione su queste cose, che nessuna macchina può fare. Questo è il valore che noi apportiamo al processo. Queste competenze resisteranno persino con i metodi di stesura delle mappe che continuano a cambiare.

 

immagine 1: Questo è quello che fanno i cartografi. (fonteNella legenda: Boston – Distanza da un rivenditore di liquori (in metri).

Noi abbiamo bisogno che il pubblico capisca meglio l’aspetto del fare mappe che racconta una storia, perché questo è ciò che ci è rimasto. Molte persone ancora pensano che il mio lavoro consista nel trovare i percorsi di guida, o sapere dove si trovano i continenti, eccetera. Pensano al «cartografo» soprattutto in termini tecnici piuttosto che estetici. Quando io e i miei colleghi diciamo alla gente che siamo cartografi, le reazioni spesso includono cose del tipo, «non è stato già mappato tutto?» oppure «cosa fate ora che c’è Google Maps?». Queste reazioni indicano il nostro fallimento come disciplina nel fornire un’argomentazione per chiarire il nostro motivo di esistere.

Noi sappiamo di avere uno scopo, ma quello scopo non è specificamente collegato con l’idea di «fare mappe» che è nella mente del pubblico. Abbiamo bisogno di diffondere la percezione dei cartografi come artisti e designer, che mettono in primo piano le rappresentazioni dello spazio. Da una prospettiva di marketing, abbiamo bisogno di spiegare meglio alle persone il valore di una storia spaziale che non è solo tecnicamente accurata, ma anche raccontata bene e in maniera accattivante. Questo è ciò che voglio la gente pensi quando pensa ai cartografi.

Non tecnici ma narratori di storie

Questa è una sfida difficile. Ci sono migliaia di cartografi, contro bilioni di non-cartografi. Basandoci sui puri numeri, la popolazione generale ha più potere nel definirci, ed è difficile controbattere.

Tuttavia la miglior cosa che possiamo fare è continuare a produrre mappe sempre migliori. Più le persone percepiscono le mappe come oggetti piacevoli, frutto di una costruzione accurata, di alta qualità, più penseranno a queste cose quando dico loro che sono un cartografo.

Ciò che danneggia il settore è vedere mappe costruite di fretta, concepite miseramente, non attraenti, piene di difetti. Del tipo fatto prevalentemente da alcuni che buttano tutto insieme senza pensarci tanto, lasciando fare agli strumenti il lavoro concettuale per loro. Se qualcuno pensa a queste persone quando dico qual è la mia professione, allora potrebbero giustamente domandarmi, «perché il tuo lavoro non viene fatto da un computer?».

La sopravvivenza del nostro settore dipende da noi, nel dimostrare continuamente che possiamo fare cose che i computer non possono fare. Dobbiamo mostrare che ci teniamo all’aspetto delle mappe.

immagine 2: Questo è quello che fanno le macchine. (fonteNella legenda: Monitoraggio livello rumore ambientale.

I cambiamenti tecnologici comportano una riorganizzazione della cartografia come settore di artisti e artigiani, con talento estetico e progettuale. Se ci aggrappiamo alle abilità tecniche e diciamo che c’è necessità di ricorrere a un cartografo perché può usare ArchMap per trasformare uno shapefile in una proiezione conforme, la nostra marcia rapida verso l’irrilevanza è certa.

Solo le nostre idee e la nostra abilità come narratori di storie restano un valore

Nonostante questi sforzi mi aspetto che la cartografia come disciplina perderà terreno. In parole povere la maggior parte delle persone non ha bisogno di mappe fatte con tanta creatività ed eleganza. Vengono da noi solo per le nostre competenze tecniche, e una volta che queste saranno irrilevanti, non torneranno. Le mappe su misura del futuro diventeranno sempre più come le ceramiche fatte a mano che vedete a una fiera d’arte: più costose e di qualità più alta, ma anche in competizione con roba prodotta in serie, economica, automatizzata, buona abbastanza per tutti gli scopi.

Quanto detto fin qui è altamente speculativo, e posso facilmente essere convinto di aver torto. Ma al momento, questa è più o meno la forma dei miei pensieri. Vedremo cosa succederà nei prossimi dieci o vent’anni.

Traduzione di Silvia Mearini. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Is Cartography Dead? by Daniel Huffman, visual.ly blog, 6 maggio 2013.

Daniel Huffman è anche coeditore di un’antologia di cartografia mondiale, The Atlas of Design. Su Twitter è @pinakographos

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4 Commenti

  1. francesco vettori ha detto:

    Consiglio all’autore dell’articolo la lettura di Gunnar Olsson, Abysmal, Cambridge University Press.
    Chiarisce il valore ontologico delle mappe, con ben altro spessore, ed è in lingua inglese.
    Se poi occorre una bibliografia in italiano, è sterminata.

  2. Elena Asteggiano ha detto:

    Se qualcuno vuole riferimenti bibliografici sul testo Gunnar Olsson, Abysmal. A Critique of Cartographic Reason, ecco il link
    //tinyurl.com/mg9jyfe
    esiste anche in ebook

  3. Gino ha detto:

    //www.ibs.it/ame/book/9780226629308/olsson–gunnar/abysmal:-critique-cartographic.html

    Su IBS non c’è l’ebook

  4. Salvatore madrau ha detto:

    Non sono assolutamente d’accordo con l’Autore.
    Dobbiamo essere noi i primi a difendere la cartografia- quando uno studente mi chiama le carte IGM cartine gli ricordo la prima volta che le cartine si comprano al tabacchino, se poi insiste ha tutto il tempo tra le due sessioni per meditare –
    Oggi una carta tematica non è più realizzata a mano con pastelli, chine, acquerelli, ecc. ma ha un valido supporto in programmi appositi. Nei quali ovviamente devi inserire dati che solo un esperto può indicare.
    La disponibilità di mappe stradali digitali ha banalizzato la cartografia relativa a questo settore facendo perdere una infinità di informazioni. Pensate alle carte stradali del Touring.
    Ma a alla base di tutto vi è la scarsa o nessuna importanza data oggi nelle scuole italiane alla Geografia, spesso ridotta a un elenco memonico di fiumi o di cime di montagne (quando va bene).
    Quale esempio vi riporto la risposta (all’esame di Geografia Fisica) di una studentessa:
    Domanda:Il Mar Rosso di cui Lei (stra)parla dove è?
    Risposta: a destra dell’Africa !!!