‘L’Alveare che dice Sì!’: la rivoluzione nella spesa a portata di mouse

In questo “guest post” vi presentiamo un estratto dall’inedito (in cerca di Editore, al riguardo l’autore è contattabile per proposte editoriali) del giornalista Francesco Piperis dedicato alla food e social innovation L’Alveare, una piattaforma e una esperienza sociale per gli acquisti km0.
Il libro inedito di Piperis racconta il progetto L’Alveare con un approccio a inchiesta e testimonianza: attraverso le voci dirette di produttori, agricoltori e fornitori traccia la novità di una piattaforma tecnologica che costruisce relazioni nel tessuto sociale e cambia il nostro vivere di consumatori.

 

alveare_che_dice_siFiliera corta, chilometro zero, Gruppi di Acquisto Solidale (i GAS), esperienze di Community Supported Agriculture, orti comunitari negli Stati Uniti e buone pratiche di agricoltura sostenibile in giro per il mondo: cerchiamo la qualità e la prossimità con il nostro territorio nei prodotti che mangiamo.
L’idea alla base del progetto de “L’Alveare che dice Sì!” consiste nel costruire un canale nuovo per individuare i prodotti locali utilizzando le potenzialità di Internet e dei social network.
A pensare alla possibilità di accorciare decisamente il percorso tra produttore e consumatore utilizzando le risorse informatiche è stato, alla fine del 2009, in Francia, Guilhem Chéron.
Nel 2010 nasce la prima piattaforma web, vengono create le prime comunità di consumatori, i produttori iniziano a dimostrare interesse nel progetto e un gestore si assume l’impegno di allestire un luogo dedicato alla distribuzione dei prodotti. Così il 21 settembre del 2011 vicino a Tolosa, nel Sud-Ovest della Francia, nasce il primo “Alveare”, un piccolo mercato a chilometro zero della durata di due ore a settimana.
In Italia il primo “Alveare” nasce a Torino nel novembre 2014. Un progetto che, nato al tavolo di un bar, costruito presso l’incubatore i3p start up del Politecnico di Torino, nell’ambito di Treatabit (percorso di incubazione dedicato ai progetti digitali rivolti al mercato dei consumatori, dall’e-commerce al social networking), oggi è presente su tutto il territorio nazionale attraverso più di 100 “Alveari”, circa 700 produttori e più di 20.000 utenti/consumatori iscritti alla piattaforma on line.
Alla base di questa (piccola e, al tempo stesso, grande rivoluzione) obiettivi semplici e misurabili sul campo:

« Il piacere per me è mangiare verdure raccolte al momento giusto, scambiare idee con le persone che le hanno curate, cucinarle e condividerle con chi mi sta vicino.
Mangiare è un atto semplice, universale e indicativo dello sviluppo della società. Ora il mercato alimentare è guidato da prezzi globalizzati, grandi industrie agro-alimentari e supermercati; noi vogliamo creare un sistema diverso, in cui i contadini siano pagati per il loro lavoro in modo appropriato, dove chi acquista possa decidere di consumare in modo sostenibile perché comprende l’importanza che ha per il nostro pianeta, dove città e campagne siano connesse e dove si possa riscoprire il vero valore del cibo. The Food Assembly sviluppa strumenti che permettono di riprendere il controllo di questo processo e di reclamare la libertà da un sistema globalizzato. » (Guilhem Chéron).

“L’Alveare che dice Sì!” unisce imprenditoria e innovazione  digitale per creare un modello di impresa  sociale. Ogni “Alveare” è unico ma allo stesso tempo parte di una rete più grande.

Come funziona un “Alveare”

“L’Alveare che dice Sì!” è una piattaforma on line che permette una distribuzione più efficiente dei prodotti locali. La piattaforma di vendita favorisce gli scambi diretti fra produttori locali e comunità di consumatori che si ritrovano creando piccoli mercati temporanei a Km 0, conosciuti come “Alveari”.
Il gestore dell’“Alveare” è un privato, un’associazione o un’azienda che decide di aprire un “Alveare” in un luogo pubblico o privato. Egli crea una rete di produttori di frutta, verdura, formaggi (e molto altro) presenti nel raggio di 250 chilometri. Nello stesso tempo “recluta” le persone interessate a comprare prodotti locali.
Quando i produttori sono iscritti e i primi 50 membri sono pronti per effettuare il primo ordine, l’“Alveare” è pronto per aprire le sue porte. Ogni settimana il gestore dell’“Alveare” pubblica on line una selezione di prodotti locali da mostrare ai membri del suo Alveare. Prima dell’apertura della vendita, ogni produttore ha fissato liberamente il prezzo dei suoi prodotti e il minimo d’ordine da raggiungere per consegnare.
Gli iscritti all’“Alveare” hanno sei giorni a disposizione per effettuare l’ordine sul sito cliccando sui prodotti che vogliono acquistare. E, soprattutto, non hanno nessun obbligo, nessun abbonamento da sottoscrivere, nessun quantitativo minimo d’acquisto.
Una volta che l’ordine è stato perfezionato, se il produttore ha raggiunto il minimo d’ordine prepara i pacchi per la distribuzione. In caso, contrario non consegnerà.
La sera precedente, i membri riceveranno la lista completa dei prodotti ordinati che ritireranno alla distribuzione. Il giorno della distribuzione i membri si incontreranno con i produttori per ritirare gli ordini direttamente dalle loro mani.
I produttori vendono direttamente ai membri dell’“Alveare” e pagano una commissione pari al 16,7% esentasse. Non ci sono intermediari, poiché si tratta di vendita diretta.
I costi di servizio vengono utilizzati per remunerare:
– per l’8,35% il gestore dell’“Alveare” il quale organizza le vendite, gestisce e anima la comunità;
– per l’8,35% i servizi e i costi delle transazioni. Un team di persone fornisce supporto tecnico e commerciale per far continuare a crescere la rete de “L’Alveare che dice Sì!”.

alveare_che_dice_si_2018Ma perché impegnarsi nella food e social innovation?

Ha ancora senso spendersi per un mondo migliore, più vivibile, più a misura di donna, di uomo, di bambino, di animale? Costruire connessioni e condizioni per un pianeta accogliente e non ostile?
Perché nell’era più veloce di sempre, più interconnessa di sempre, più smart di sempre, un gruppo di “pazzi”, di rivoluzionari (ma con il sorriso), decide di cercare, stringere la mano e guardare negli occhi i produttori di coltivazioni ortofrutticole sane e controllate, di allevamenti “etici”, a misura di animale e alternativi agli allevamenti intensivi, di nuovi modelli di consumo, di soluzioni diverse all’immorale spreco alimentare, di nuove frontiere dell’alimentazione?
È questo “L’Alveare che dice Sì!”, che mette insieme il chilometro zero del cibo e l’innovazione  tecnologica. Lungo tutto lo stivale dire che “insieme si può”, che un cambiamento culturale, ambientale ed economico si può imprimere al mondo in cui viviamo, se ricominciamo a fare la spesa, a consumare, a guardare alle relazioni sociali, con la testa e con il cuore, prima che con il portafogli. Senza ingenuità, sia chiaro, perché congiunture economiche e faticose quadrature del budget familiare non sono motivi secondari per scegliere un ipermercato “paghi due, porti a casa tre”. Perché si risparmia, perché faccio scorta, perché è comodo, perché biologico, filiera controllata, biodinamico sono concetti belli, ma ciò che conta è risparmiare.
Ho deciso di guardare dentro all’“Alveare”, questa silenziosa rivoluzione del cibo 2.0, questa innovazione del consumo alimentare che passa attraverso piattaforme  web, start up e che imprime un’accelerazione anche alle relazioni sociali utilizzando le tecnologie, per un obiettivo, sempre lo stesso: il miglioramento della vita delle persone, del cibo sulle tavole, dell’esistenza degli animali nelle campagne, nelle fattorie, negli allevamenti, delle coltivazioni.
Hanno aperto un “Alveare” ristoranti, bar, ex oratori, addirittura uno studio dentistico, una portineria e diversi altri luoghi insoliti, a testimoniare l’effettiva (e antica) pratica del fare  la spesa incrociando lo sguardo di produttori che, con orgoglio, consegnano ai consumatori prodotti “non stressati” chimicamente, naturali, in un atteggiamento di reciprocità che mette da parte l’impersonale acquisto presso la grande distribuzione. Generando, in questo modo, il benessere vero delle persone che li acquisteranno, cucineranno, metteranno in tavola e condivideranno con la propria famiglia, con i propri amici. Il produttore ne gioirà, come ne gioirà una comunità intera.
Una comunità che si incontra settimanalmente durante la distribuzione dei prodotti e che si ferma a chiacchierare con altre persone in quel luogo con la stessa motivazione, che non rimane in fila, in coda al supermercato con la tessera fedeltà in mano, inconsapevole del  passaggio magnetico che “legge” i suoi desideri, li targettizza – come oggi si usa molto dire –, e vende quei gusti e quelle preferenze commerciali a multinazionali che piombano nelle nostre vite sotto forma di telefonate moleste, volantini, banner che incorniciano la nostra casella di posta elettronica…
Per comprendere meglio questo progetto di nuova socialità ci basti pensare che quando ragioniamo con la testa e con le nostre emozioni prima che con la pancia e il portafogli, siamo api laboriose che difendono strenuamente il proprio ambiente, si prendono cura dei propri simili e che, senza retorica e senza ingenuità, ma con determinazione, portano avanti idee senza egoismo, credono in una comunità di persone disponibili all’incontro e alla crescita reciproca.
Per riempire concretamente di senso la sharing  age. Per pensare a un altro genere di condivisione, proprio nell’era della condivisione tecnologica totale (di contenuti, audio, video, foto e contenuti) e senza filtri della propria vita (senza badare alle conseguenze e rivendicando, con singolare negligenza, il diritto alla privacy).

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Francesco Piperis è giornalista e social media manager. Originario di Bitonto, si è laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Bari.
Ha lavorato a Torino presso l’Ufficio Stampa del Gruppo Abele. 
Attualmente è responsabile comunicazione del festival Borgate dal Vivo, il primo festival itinerante delle borgate alpine.
È speaker e redattore radiofonico a RadioOhm.

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3 Commenti

  1. lordmax ha detto:

    Mi chiedo se tutta questa gente che vuole cibo a km 0 si rende conto che l’intera economia agricola italiano è basata sull’esportazione di prodotti di lusso e l’importazione di prodotti a basso costo.
    Vorrei vedere come faranno a continuare a mangiare normalmente quando i prezzi per i prodotti agricoli aumenteranno del 500% o semplicemente i prodotti spariranno in quanto non più economicamente profittevoli.

  2. Elena Asteggiano ha detto:

    Penso ci faremo finalmente un orto, cosa che ricordo nella mia infanzia e ho perso con il piccolo pezzo di terra montana che coltivavamo

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