Rimodellare il concetto di lettura (alla luce dei dati Istat sul 2016)

L’anno 2017 si chiude con la pubblicazione dei dati Istat sulla lettura, che fotografano un’Italia che legge in calo di -1,5% rispetto al 2015: il tasso dei lettori dai 6 anni in su si attesta infatti nel 2016 sul 40,5%. Ma le statistiche sono da leggere e interpretare ci dice Giulio Blasi in questo suo intervento apparso su Facebook, che per gentile concessione riprendiamo qui come “guest post” perché rimanga in rete a beneficio di tutti.

 

giulio_blasi_guest_post In questi giorni ridiscutiamo della lettura in Italia sulla base dei nuovi dati ISTAT. Consiglierei la (ri)lettura del libro di Giovanni Solimine (L’Italia che legge, Laterza, 2010) che rimane secondo me la migliore introduzione per chi voglia avvicinarsi a questi numeri. Il primo effetto è quello di ricordare che i lettori italiani NON sono il 40% della popolazione ma il 60% (> 6 anni) se includiamo anche la lettura per motivi scolastici e professionali. O addirittura l’80% se includiamo anche i quotidiani e i periodici. La mia impressione è che dobbiamo liberarci (almeno nell’analisi statistica) dall’idea romantica della lettura “gratis et amore dei” priva di impuri scopi “secondari” (tipo studiare o aggiornarsi professionalmente)… In che senso comune del termine uno che legge un saggio per aggiornarsi professionalmente sarebbe un “non-lettore”? Ovviamente si potrebbe andare oltre e chiedersi in che senso uno che non abbia letto alcun libro ma segua ad esempio un Mooc (con i relativi materiali scritti) o si aggiorni sulle news leggendo articoli sui siti dei quotidiani sarebbe un “non-lettore”. Non è una rimodellazione banale quella del concetto lettura e richiede apertura. Richiede di accettare che una serie televisiva è un genere in sovrapposizione con molti generi di narrativa. Richiede di accettare che tra le persone scolarizzate i contenuti non si articolano più per medium (libro a stampa, televisione, radio, Internet), ma per aree di contenuto/generi che sono in larga parte trasversali rispetto alle vecchie classificazioni dei “supporti” della comunicazione. “Lettore” e “lettura” sono parole straordinariamente ambigue e complesse ed è solo un giochetto un po’ così strizzarci l’occhio e far finta di “capirci” intuitivamente quando le usiamo. E il corollario è che è un po’ così anche giocare al commento sul solito tema che “leggiamo in pochi in Italia”. Un conto è isolare e analizzare un segmento di mercato specifico (il mercato dell’editoria libraria) cosa che si può fare scientificamente e in modo rigoroso. Parlare invece di lettura-in-generale presupponendo (male) che i soli dati rilevanti siano quelli dell’editoria libraria significa ignorare (a titolo non esaustivo di esempio):

a) i dati delle biblioteche (che non vendono libri eppure generano montagne di lettori);

b) il web (che è in gran parte scritto, o no?);

c) la “fan fiction”;

d) la stampa quotidiana e periodica.

Promuovere l’editoria libraria è un conto (ed è cosa perfettamente nobile e sensata). Promuovere la lettura-in-generale è però altra cosa, un pelino più complessa.
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Giulio Blasi è CEO di ‎Horizons Unlimited srl – MediaLibraryOnLine, MLOL. Intanto la discussione sul suo post Facebook ferve qui.

Link per consultare il report ISTAT completo sulla lettura in Italia anno 2016.

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Un Commento

  1. Giovanni Capotorto ha detto:

    Concordo sulla necessità di rivedere il concetto di lettura. I dati Istat spesso si basano solo sul numero di libri cartacei “acquistati” in un anno, escludendo gli ebook, i libri che uno può già avere in casa o quelli presi in prestito in biblioteca. Oltre tutte le modalità alternative di leggere e ricevere informazioni oggi disponibili.
    D’altro canto chi acquista tanti libri non è detto che sia anche un buon lettore; tanti testi rimangono accatastati per anni sul comodino oppure sugli scaffali fisici o digitali.