Il voto del 5 luglio del Parlamento europeo ha fatto cadere la proposta di direttiva copyright, che verrà dunque ridiscussa a inizio settembre. La direttiva ha lo scopo di armonizzare la tutela del diritto d’autore a livello europeo, ma le divergenze nascono soprattutto intorno a come questo potrà cambiare il mondo di Internet. I punti più controversi sono gli articoli 11 e 13 del testo.
In Italia Wikipedia ha oscurato tutte le pagine della sua enciclopedia libera online per alcuni giorni, proprio per manifestare contro gli aspetti della direttiva che limitano la libertà di informazione ed espressione della Rete.
L’art. 11 in particolare affermando che agli editori o ai titolari di copyright sia riconosciuta una «consona ed equa remunerazione» da parte delle piattaforme che forniscono anteprime o link ai testi pubblicati – tipo motori di ricerca come Google o social network come Facebook, o ancora aggregatori di notizie come Feedly – suscita l’idea di una sorta di link tax, cioè di una tassa sui link. Già la Spagna a fine 2014 aveva cercato di remunerare gli editori tassando i link condivisi da motori di ricerca e aggregatori, ma quando GoogleNews rimosse i link il traffico sui siti dei quotidiani online crollò bruscamente e di conseguenza i loro introiti pubblicitari. La link tax spagnola venne dopo breve sperimentazione revocata.
L’art. 13 chiede alle piattaforme di prevedere filtri e algoritmi di controllo a monte affinché vengano esclusi dalla pubblicazione contenuti lesivi del copyright. Contro l’art. 13 in particolare 70 grandi nomi del mondo informatico e di Internet tra cui spicca lo stesso Tim Berners-Lee, il padre inventore del World Wide Web, scrissero in giugno una lettera indirizzata al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Questa #CensorshipMachine infatti metterebbe a loro giudizio a dura prova la libertà di informazione e di espressione che è fondativa dello stare in Rete, istituendo una sorta di censura in mano alle piattaforme.
A favore della direttiva sono case editrici, grandi quotidiani, etichette musicali e case di produzione cinematografica, che in primo luogo temono la pirateria e inoltre non avendo ancora individuato modelli di business in Rete guardano le grandi piattaforme avanzare sui mercati dei contenuti e della pubblicità e vorrebbero contrastarle. E pensare che da Google stesso le testate di giornalismo europeo attingono oltre 150 milioni di euro che Digital News Innovation Fund (Fondo DNI) ha messo a disposizione per innovare il giornalismo nell’era digitale.
Per la direttiva copyright è comunque tutto rimandato al voto di inizio settembre. Stay tuned!
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