Il digitale può essere una via privilegiata per far passare un’idea e per cambiare culturalmente l’Italia del pregiudizio. Liberi di Fare è una mobilitazione a livello nazionale perché venga garantita l’assistenza personale alle persone disabili. Le manifestazioni sono previste nei giorni 3-4-5 novembre dalle ore 15 alle 16 e il lancio dell’iniziativa è partito viralmente attraverso la rete, in specie Facebook e i social media. Il tutto nasce dalla lettera aperta di Elena e Maria Chiara Paolini (il link lo trovate nell’appello che segue).
Mentre sui social media si inseguono fake news e smentite su tutto, mentre si scatena l’ira funesta di certi internauti o troll contro chiunque e per qualsiasi tema, anche noi alla tastiera siamo liberi di fare qualcosa: dare spazio sui social a un nuovo linguaggio e per questo ripubblichiamo le linee guida per i giornalisti che sono state stilate per tutta l’informazione che girerà intorno a Liberi di Fare.
Nei giorni 3-4-5 novembre persone disabili e non disabili si troveranno in piazza nelle città che hanno aderito, che vedete elencate di seguito. Per Torino potete fare riferimento ad Antonio Castore, tramite il suo profilo Facebook.
LINEE GUIDA per GIORNALISTI
Quando si parla di #liberidifare chiediamo di:
– Non usare toni pietistici o sensazionalistici.
Il pietismo crea distacco, crea un “noi” e un “loro”.
– Essere consapevoli, quando si parla della nostra lettera aperta (https://goo.gl/xvB2jh), che non si parla di problemi individuali ma di un problema generalizzato e di una questione di diritti civili: il movimento per i diritti dei disabili è un movimento per i diritti civili e umani come quello delle donne, delle persone omosessuali ecc…
– È buona norma per un linguaggio giornalistico aggiornato e rispettoso evitare espressioni come:
“costretto su una carrozzina”
“persone speciali”
“affetto da disabilità”
“malati”
“meno fortunati”
“persone che soffrono”…
Essi promulgano idee di dipendenza e fragilità, mentre per essere più visibili e raggiungere più peso politico è necessario che le persone disabili sottolineino la loro forza e unità.
Il nostro movimento è sociale e si basa sul “Modello Sociale della Disabilità” (coniato da Mike Oliver in contrapposizione al “modello medico”), per cui la disabilità è causata più dal modo in cui è organizzata la società che dal deficit della persona: è l’ambiente che deve cambiare e diventare inclusivo delle caratteristiche di tutti gli individui.
– Non ha senso distinguere tra disabili “gravi” e “gravissimi”, perché non c’è una definizione univoca dei due termini, e perché sono termini strumentalizzati da alcuni politici per giustificare l’erosione del welfare.
– Quindi sì a:
“Usano carrozzine”
“sono ciechi/sordi”
“con la sindrome di Down”
“sono disabili/hanno una disabilità”…
concetti come “indipendenza” e “cittadini con diritti”.
Cerchiamo insomma di evitare la medicalizzazione e il pietismo e spingere il discorso pubblico verso il fatto che è una questione sociale e urgente, una questione di diritti umani.
– Dire “dipendere dai familiari” è meglio di dire “gravare sui familiari”.
C’è già più attenzione in genere, almeno nel linguaggio, sul punto di vista delle famiglie dei disabili piuttosto che sui diritti delle persone disabili. La mancanza di assistenza è una condizione di prigionia per entrambe le parti, e non ci piove. Ma la questione deve ruotare intorno alle persone disabili: mettiamo l’accento su di loro. Inoltre “gravare” promuove la concezione dei disabili come fardello e peso, un messaggio assolutamente tossico.
Riassumendo: meno pietismo, più consapevolezza dell’ingiustizia sociale.
Cerchiamo di aggiornare la comunicazione sulla disabilità!
Elena e Maria Chiara Paolini
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